Sapevo.
Conoscevo la tua rabbia. Conoscevo l’odio covato dentro per anni. Ho aperto il
tuo forziere più e più volte. All’esterno l’incisione del globo; all’interno,
sul fondo, la crepa d’odio: risucchia i tesori. Ma vederlo già solo da lontano è
capogiro, battito cardiaco accelerato, forse anche allucinazione, sindrome di
Stendhal.
Quella
crepa a volte risucchiava troppo. La bilancia crollava miseramente. Come un bimbo
che si incammina con forza, caparbio, e cade, inevitabilmente. Inesperienza.
Come un leone che fiero e impavido per la fame segue il rinoceronte. Trapassato.
Mi
concedo queste righe di sanità, poi niente più esiste. Il mio istinto di
crocerossina parla, grida aiutalo.
L’altra parte di me fallo sprofondare
nella sua merda. E ricado nel tuo oblio. Quello dei menomati. Quello dei
pazzi come te. Quello degli assassini come te. Quello dei rifiuti umani.
Non
ti aiuterò. La mia mente è recisa dal dubbio etico, ma non lo farò. Stavolta
risanerai tu la crepa. Se vuoi. Di te non rimarrà più niente.
Le
tue mani piene di vita ne hanno uccisa una. Sei un mostro. Come faccio ora ad
aiutarti? Ti prego, tu dimmelo! Oh, ti scongiuro! Come posso ora abbandonare
tutto per restare con te? Come posso governare il tuo futuro? Come posso? Non
lo so. Ti scongiuro, trovami una scusa!
Ascolto
la risacca. Si schianta contro di me. Mi ferisce. Mi porta via. E affogo
nell’acqua di questo oceano come granello di sabbia. Vivo.
Come
potevo pensare non si sarebbe mai esaurito quel tuo tesoro? A volte le monetine
provenivano da me. Mi piaceva donarne in quantità. Ne toglievo dal mio
forziere. Servono più a te. Non sono
mai stato il tuo falegname, ma la tua donatrice. Ti amo ancora.
Postilla
d’autore:
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Sempre mio
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