Oggi
è un mese da quel giorno. Quello della frattura, ovviamente. Il primo pensiero
stamattina non sei stato tu, ma io. Ho lavato i denti, mi sono guardata allo
specchio. Finalmente ho riconosciuto il mio corpo, la mia schiena, il suo
canale verticale scolpito. Sei bellissima.
E un ghigno ha illuminato il mio volto.
– I bambini orfani, lo sai, soffrono tantissimo se qualcuno li abbandona, loro non hanno avuto stimoli, tant’è vero che la loro sofferenza è nascosta, perché loro non sanno formulare pensieri, sentono e basta, anche perché poi chi è consapevole o manifesta o nasconde del tutto il proprio dolore – ha detto Carlo stamattina in orfanotrofio e io mi sono immedesimata negli occhi di quei bambini. Sono anch’io un’orfana, un’orfana d’amore.
Ho
osservato le sue mani, ma non erano come le tue. Ho provato a dimenticarle e ci
sono riuscita, per un po’. Poi però sono tornati nella mia mente quei tuoi
gesti con le mani, quei disegni con le tue dita lunghe e sottili. Mi sono
guardata la mia, di mano, e ci ho visto granelli di povertà, povertà di senso
in questa vita.
Ho
ascoltato la sua voce, ma non era come la tua. Combatto contro di me, contro di
te, contro la tua Me. E non mi do
pace. Quelle foto attaccate col Patafix
al muro mi ricordano la purezza del nostro amore. Mi ricordano le serate ad abbuffarci
di baci e cibo. Ma poi tutto crolla. E cado anche io, con le ginocchia a terra,
esangue, senza nessun pensiero salvifico.
Vivo
la mia vita, ormai, alla mercé di sentimenti contrastanti. Da una parte ci sei
tu, dall’altra me e lo schifo nei tuoi confronti.
Vincerà
lo schifo. Te lo assicuro. Ti dimenticherò.
Mi
manchi.