Romanzo epistolare

Gli amanti che si sfiorano - 1

Guardo al suo cospetto la Luna schiarirsi, come un granello di sabbia guarda il mare che prima o poi lo travolge. Mi manca il fiato e facci...

mercoledì 7 giugno 2017

Gli amanti che si sfiorano - 9

Sapevo. Conoscevo la tua rabbia. Conoscevo l’odio covato dentro per anni. Ho aperto il tuo forziere più e più volte. All’esterno l’incisione del globo; all’interno, sul fondo, la crepa d’odio: risucchia i tesori. Ma vederlo già solo da lontano è capogiro, battito cardiaco accelerato, forse anche allucinazione, sindrome di Stendhal.
Quella crepa a volte risucchiava troppo. La bilancia crollava miseramente. Come un bimbo che si incammina con forza, caparbio, e cade, inevitabilmente. Inesperienza. Come un leone che fiero e impavido per la fame segue il rinoceronte. Trapassato.
Mi concedo queste righe di sanità, poi niente più esiste. Il mio istinto di crocerossina parla, grida aiutalo. L’altra parte di me fallo sprofondare nella sua merda. E ricado nel tuo oblio. Quello dei menomati. Quello dei pazzi come te. Quello degli assassini come te. Quello dei rifiuti umani.
Non ti aiuterò. La mia mente è recisa dal dubbio etico, ma non lo farò. Stavolta risanerai tu la crepa. Se vuoi. Di te non rimarrà più niente.
Le tue mani piene di vita ne hanno uccisa una. Sei un mostro. Come faccio ora ad aiutarti? Ti prego, tu dimmelo! Oh, ti scongiuro! Come posso ora abbandonare tutto per restare con te? Come posso governare il tuo futuro? Come posso? Non lo so. Ti scongiuro, trovami una scusa!
Ascolto la risacca. Si schianta contro di me. Mi ferisce. Mi porta via. E affogo nell’acqua di questo oceano come granello di sabbia. Vivo.
Come potevo pensare non si sarebbe mai esaurito quel tuo tesoro? A volte le monetine provenivano da me. Mi piaceva donarne in quantità. Ne toglievo dal mio forziere. Servono più a te. Non sono mai stato il tuo falegname, ma la tua donatrice. Ti amo ancora.


Postilla d’autore:
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.


Sempre mio


lunedì 5 giugno 2017

Gli amanti che si sfiorano - 6

Caro amore mio, oggi ho bisogno di te. Sono in confusione, non capisco più nulla, tre tizi parlano parlano parlano, ma dove sto sapresti dirmelo? Sono tre uomini che mi circondano guardandomi con aria severissima, nauseata. Continuano a parlare di questo caso senza farmi capire quale sia ‘sto caso. Forse parlano di me. Ne sono convinto. Quando scontrano il loro sguardo col mio storcono i loro musi.

Gli ho chiesto di poterti scrivere una cosa. Sto arrancando. Ho paura. Voglio solo te. Ne ho bisogno. Salvami, ti scongiuro. Dammi la terraferma. Scusami di tutto. Sono un cazzone.



Sempre mia




Lettera 5                                                              Lettera 7

domenica 4 giugno 2017

Gli amanti che si sfiorano - 8

Lo psicologo De Angelis ieri mi ha raccontato degli aneddoti e avevo paura fossi io il protagonista di quegli episodi cruenti e violenti, sebbene ripetesse ogni volta, prima di iniziare a spiegare, che mi stava per fare un esempio. Non so neanche perché mi trovo coinvolto in questa terapia; credo di aver lasciato qualche cosa lungo la strada, ma non so cosa.

Quei tre uomini, comunque, ti starai chiedendo chi fossero: fanno parte del corpo poliziesco e volevano interrogarmi. Mi hanno chiesto cosa ci fosse alla base di tutto ciò, cosa fosse successo qualche ora prima, cosa fossi io, un mostro o cosa? Gli ho risposto dicendo di non ricordare nulla e di non sapere di cosa parlassero. Dopo qualche ora mi hanno portato in una sala d’attesa di uno studio. Io mi sono seduto su uno dei due divanetti che si guardavano negli occhi, vicini. Sembravamo proprio io e te. Loro invece sono rimasti in piedi a circondarmi, ognuno con un occhio a me e uno alla porta in legno chiaro alla mia sinistra con inciso il disegno del disagio.

-        Salve, io sono il dottor De Angelis, psicologo laureato. Gli agenti fuori mi hanno spiegato un po’ di cose. Come si sente ora?
Cosa dovevo dirgli? Che sembrava mi fossi appena svegliato da un sonno profondissimo? Che sembrava fossi morto e poi risorto da appena qualche ora?
-      Bene, le do un compito semplicissimo: mi scriva un racconto di poche parole in cui lei è un omicida.

7.45. La sveglia che suona, la solitudine che mi accompagna, le lenzuola stracciate da un sonno inesistente, la vita che prosegue sempre troppo veloce per i miei ritmi e pronta, ancora, a ripartire. Il caffè sembra sputato dal cielo, i biscotti la calce di palazzi fiacchi, la camicia ortica, il cappello del magazzino una corona di spine. Sono un animale sottosviluppato, ma ho una grande dote, riuscirò a vincere tutti, ne sono convinto. Uscirò da questa merda. Sono nato per vincere le avversità.

La macchina oggi sembra non dare problemi. Si parte e subito piede a tavoletta in autostrada. Il capo mi aveva avvisato di non arrivare in ritardo. L’asfalto diventa il mio cibo; ad ogni km divento sempre più grande, sempre più un grande. Potrei guidare in F1. La mia vita di merda cambierà.
-  Dio cane, cosa cazzo stai combinando? Quel pacco non andava aperto! - mi rimprovera il capo. Chi cazzo crede di essere?
-  Sei un incapace!

Il trincetto tra la mano tremante ha prurito. Ha fame, non di asfalto. Di sangue. Te la faccio pagare, stronzo.


Sempre tuo



Lettera 7

sabato 3 giugno 2017

Gli amanti che si sfiorano - 7

Giorno 51. Kg 45. Taglia: 36. Sei bellissima dice Carlo. Sei superbella dico io. Non avresti detto questo tu. Ci sei inevitabilmente a pranzo e a cena; ci penso e non mangio. Nemmeno un acino d’uva. Fa ingrassare dico. E Carlo mi vuole magra.

Nel cielo di ieri sera ho cercato nuove costellazioni, ma tutte narravano miti tragici. Gli astri sembravano naufragare in quel mare, ma sono stati salvati dal chiasso di una combriccola di ragazzini ebbri, alla ricerca confusionaria di se stessi. Di questa bellezza, del mare ai piedi del mio terrazzo e il cielo ad aprirmi il soffitto, non mi rimane che una breve malinconia. Te la metto per iscritto di tanto in tanto. Solo così sono sincera con me stessa.

Le foto sul comò mi guardano, segnano un orizzonte, un limite, una linea di materia non oltrepassabile. Ci siamo noi due seduti a un tavolo, tu con una polo azzurra, il baffo scurissimo come i pochi capelli rimasti, la sigaretta tra le labbra, la mano sulla mia spalla. Quasi monumentale nella tua gagliardezza. Fiero, sereno, amabile. Dicesti Ti amo per la prima volta e socchiudesti le palpebre. Poi accarezzasti le mie labbra con le tue e respiravamo con gli affanni dell’altro. Eri bellissimo. Era bellissimo. Le foto segnano una transenna, ci fermano, anestetizzano la forza del futuro e del presente.

Carlo oggi mi ha chiesto di fare sesso. Forse lo stiamo facendo troppo spesso. Mi fa male, ma è l’ordine naturale delle cose. Prima o poi tutti finiscono nel vortice della normalità. Ed è più facile persino sentirsi insulsa, perché diventa uno stato perenne, un inerme, lento, immobile, inerte morire. Solo tu mi salvavi.


Sempre tua

Lettera 6                                                              Lettera 8

venerdì 2 giugno 2017

Gli amanti che si sfiorano - 5

Carlo dice sempre che la cosa più sana dopo il sesso è fumarsi una sigaretta. Godersi la felicità in solitudine, vestirsi soddisfatti della propria vita. Ieri sera ne ho avuto la prova. Lo ha fatto.

Mi ha presa per i fianchi, me li ha quasi strappati con violenza tra i suoi polsi. Poi mi ha sbottonato i pantaloni da dietro, se li è sbottonati ed è entrato in casa mia senza neanche chiedere il permesso, ma a me piaceva, piaceva tanto. Ha battuto il suo membro animalescamente dentro di me. E io ho goduto come una matta. Sì, come una matta. Il dolore mi teneva a galla nella ripetizione violenta di una risacca selvaggia che diceva ancora.

Non avevo nome, non avevo colore. Ero solo un animale che si compiace di se stessa. Ero solo un essere terribilmente in vita. Ero e sono un animale in vita, più che mai coi piedi a terra e la mente annichilita, ma ciò non importa. La vita è cattiva e dà poche illusioni. Poi capisci il gioco, torni ad essere un normale essere biologico e pensi al tuo ciclo naturale da compiere. È tutta qui la vita. Illusione non porta che a disillusione.

Alla fine, come un vero uomo, Carlo non si è perso nelle chiacchiere da amanti sdolcinati del cazzo. Mi ha chiesto se mi fosse piaciuto e io, forse anche un po’ finta, ho detto di sì. Poi se ne è andato, con la sua sigaretta accesa, fuori. 
E una lacrima mi è scesa.



Sempre tua


Lettera 4                                                              Lettera 6

giovedì 1 giugno 2017

Gli amanti che si sfiorano - 4

Oggi è un mese da quel giorno. Quello della frattura, ovviamente. Il primo pensiero stamattina non sei stato tu, ma io. Ho lavato i denti, mi sono guardata allo specchio. Finalmente ho riconosciuto il mio corpo, la mia schiena, il suo canale verticale scolpito. Sei bellissima. E un ghigno ha illuminato il mio volto.  
– I bambini orfani, lo sai, soffrono tantissimo se qualcuno li abbandona, loro non hanno avuto stimoli, tant’è vero che la loro sofferenza è nascosta, perché loro non sanno formulare pensieri, sentono e basta, anche perché poi chi è consapevole o manifesta o nasconde del tutto il proprio dolore – ha detto Carlo stamattina in orfanotrofio e io mi sono immedesimata negli occhi di quei bambini. Sono anch’io un’orfana, un’orfana d’amore.
Ho osservato le sue mani, ma non erano come le tue. Ho provato a dimenticarle e ci sono riuscita, per un po’. Poi però sono tornati nella mia mente quei tuoi gesti con le mani, quei disegni con le tue dita lunghe e sottili. Mi sono guardata la mia, di mano, e ci ho visto granelli di povertà, povertà di senso in questa vita.

Ho ascoltato la sua voce, ma non era come la tua. Combatto contro di me, contro di te, contro la tua Me. E non mi do pace. Quelle foto attaccate col Patafix al muro mi ricordano la purezza del nostro amore. Mi ricordano le serate ad abbuffarci di baci e cibo. Ma poi tutto crolla. E cado anche io, con le ginocchia a terra, esangue, senza nessun pensiero salvifico.

Vivo la mia vita, ormai, alla mercé di sentimenti contrastanti. Da una parte ci sei tu, dall’altra me e lo schifo nei tuoi confronti.
Vincerà lo schifo. Te lo assicuro. Ti dimenticherò.
Mi manchi.

Sempre tua, a tratti mia


Lettera 3                                                           Lettera 5

Gli amanti che si sfiorano - 3

Sento ogni giorno crescere questo nulla dentro di me, questo marcio, questo sfracello. Sento ogni giorno nettezza che cresce nel mio organismo, nettezza che mi appesantisce, che mi rende rifiuto e di cui mi rifiuto, ma non è mai abbastanza. Ho una crepa, una spaccatura il cui centro ancora non ricordo e forse non ritroverò mai. L’unica cosa che riusciva a riempirla erano i tuoi occhi, pieni di vita e d’amore, lo stesso amore con il quale ti guardavo io, mentre facevamo a gara a chi arrivasse prima alle labbra dell’altro. Ora quegli stessi occhi, quelle due paia, sono piene di lacrime, sono cascata, sono sorgente di un oceano il quale è ricolmo di tristezza.

Non esisto più, perché la morte è venuta a bussarmi alla porta tirandomi per i capelli, annullando quel briciolo d’amore che mi è stato concesso provare e sentire e praticare. Ogni uomo nasce, cresce, ama, muore. La mia terza tappa è conclusa abbandonandoti in maniera sciocca, mentre mi uccidevo a mia insaputa. La mia unica forma di vita sei stata tu, creatura da amare, che con le sue braccia riusciva a tenere a bada i miei demoni e con le sue parole a sconvolgere i miei respiri fintamente semplici e lineari. Ora tutto ciò che mi lascia senz'aria è il tuo silenzio, sebbene io sappia che in fondo ci sentiamo ancora un po’ o almeno io ti sento e ciò mi tiene ancora, fragilmente, attraccato alla vita.


Sempre tuo


Lettera 2                                                              Lettera 4

mercoledì 31 maggio 2017

Gli amanti che si sfiorano - 2

Questa notte nessun satellite sarà un approdo sicuro. Questa notte no. Cerco ancora la tua pelle in alcuni punti un po’ ruvida, in altri infantile. Non so cosa farmene di un cuscino pieno solo di lacrime. La mia anima infreddolita, nell’umidità dei miei scarti emotivi, non vuole altre anime a stringergli le spalle. Vuole solo la tua.

Il cordone è stato reciso, questa volta per sempre. Senza un minimo di pietà. E piango. Piango per un abbandono che non metabolizzerò mai. Piango perché dall’altra parte non ci sei e mi manca il fiato e non riesco più ad andare avanti. I miei punti neri diventano nei, poi angiomi, poi morte.  La mia stessa vita si riduce a questo piccolo spazio di libertà indesiderata.

Ora sono in un oceano, lontanissima dalle coste. Gli squali sono in agguato. Non so per quanto ancora resisterò. È solo una questione di attimi. Stavolta non mi proteggerai.
                                                                                                                                       

Sempre tua

Lettera 1                                                              Lettera 3

Gli amanti che si sfiorano - 1

Guardo al suo cospetto la Luna schiarirsi, come un granello di sabbia guarda il mare che prima o poi lo travolge. Mi manca il fiato e faccio fatica a camminare correttamente; è tutta una poltiglia a sorreggere un colosso. Le mie orecchie cercano la tua voce, le mie mani i tuoi fianchi, la mia mente la tua.

Sto vivendo l’ennesimo funerale della mia vita, quello dalle dimensioni più grandi, senza manifestazioni esteriori alcune; è solo dolore che circola sempre più rigenerato lungo il corpo, lungo i circuiti serrati della mente. Le buche della mia esistenza si fanno sempre più grosse e non mi resta che immergermici dentro con rassegnazione. Piango sentendoti lontana, mentre un orco mi urla contro prepotentemente, senza farmi ragionare.

Cane, infame, dissociato, ossessivo, schizofrenico, chi più ne ha più ne metta. Sono tutte etichette che mi sono attaccato addosso durante gli anni, fin da moccioso. Stare in due per me significa badare a tre, due Me e una Te.

Morirò lentamente, nel mio dubbio ossessivo alla ricerca compulsiva di una compulsione che non mi salverà; lo farò amandoti, ma mai nel modo giusto e non ne ho paura, perché con te ho conosciuto l’amore, quello vero, anche se non sempre corretto.


Sempre tuo


martedì 18 aprile 2017

La chitarra volante di S. Esposito

da sinistra verso destra: E. Severino alla batteria; G. Macchiaverna al basso; S. Esposito alla chitarra.
C'è una piccola stanza ripresa dall'alto. E ci sono tre muri, tre ragazzi, tre anime, sopra un tappeto che sembra quello di Aladdin. Ma Sebastiano Esposito, il compositore, sembra volare con la sua chitarra, quella che dà voce alla sua anima, una voce che vibra e cambia timbro a seconda del pedale tastato. È così il video di Something's crashed, secondo singolo del suo album 24 - il primo è Lost in You, pubblicato esattamente un anno prima - in uscita il 13 giugno 2017. La sua voce è un'eruzione di note che arriva dovunque. E un tapping finale rende più quieta la furia, l'immensa determinazione e i sogni del giovane musicista.
- Ad un certo punto ho sentito che il mio lavoro da turnista non bastava più, così qualcosa si è rotto. E' proprio questo Something's crashed: la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Racconta del passaggio da un periodo all'altro della mia vita, racconta di una vera e propria scissione.
Così racconta Sebastiano, ormai 25enne, che ha impiegato 13 anni per trovare il suo vero amore, la chitarra, un amore lungo ben dodici anni e destinato a non spegnersi mai.
- Ho iniziato a suonare per caso da mio zio. E ho trovato un nuovo alfabeto con cui esprimermi: la musica.
Dodici anni in cui Sebastiano ha avuto già grandi soddisfazioni, come la vittoria al Vomerock a soli sedici anni, rivelandosi un vero e proprio prodigio.
Dodici anni in cui non ha mai smesso di scrivere note su note ed ora è più che mai pronto a farsi ascoltare dal pubblico. Dodici anni in cui ha avuto l'opportunità di conoscere i due suoi compagni di viaggio, Elio Severino alla batteria e Giovanni Macchiaverna al basso.
Dodici anni in cui l'empatia con quelle sei corde, con quel legno, quei pedali, non si è mai arrestata. E con quella stessa empatia Sebastiano ha lavorato al suo nuovo e primo lavoro discografico. Il disco - disponibile su tutti i maggiori digital stores (Amazon, iTunes, ecc.) - sarà, infatti, registrato tutto in presa diretta, perché le emozioni e la passione di chi suona possano essere accolte da chi ascolta. Una scelta ideologica, personale, così come quella di destinare due bonus track per la versione fisica rispetto a quella digitale.
- La musica è digitalizzata, ormai, e a me sta anche bene così, per carità. Ma proprio non riesco ad accettare che i fondi vengano sottratti sempre alla musica e all'arte, nell'organizzazione dei concerti e negli eventi in generale.
Dunque non resta che aspettare il 13 giugno. Nel frattempo ci godiamo i due singoli fino ad oggi pubblicati, disponibili sul canale YouTube dell’artista.

Video Lost In You


Duilia Giada Guarino & Ciro Piccolo

giovedì 6 aprile 2017

Una serata con Civico 17

In alto da sinistra: Marco Balzano, Stefano Esposito, Mario Di Donna.
In basso da sinistra: Duilia Giada Guarino, Annamaria Molisso, Francesco Ace Acernese, Ciro Piccolo.
-        Ragazzi ma che dite, la facciamo una foto? – e tutti insieme, seduti su un divano, immortaliamo la serata.
Una stanza raccolta, accogliente, cesellata nel suo ordinario di piccole stravaganze, impilate come libri coloratissimi su uno scaffale di taglio buono. Simile a un retrobottega o alle quinte di un teatro di paese, un luogo in cui l’arte inzuppa la quotidianità. Anche noi eravamo inzuppati quella sera. Ci hanno accolto in casa come gattini bagnati, loro, un circolo di ragazzi affiatati e pratici come una famiglia ben assestata, amanti dei gatti come del buon teatro, artisti disciplinatissimi e sgangherati. Un gattino come loro, Friariello, si presenta in stanza. L’impatto della sorpresa, dal nome buffo all’inaspettata presenza, ci fa sorridere. Friariello. Pensateci, un gatto, nome Friariello, pelo bianco con macchie rosso rame, come sporcato da sabbie rossicce, all’occorrenza kalashnikov tra le braccia del padrone. Una simpatia istintiva, innata, disinvolta accomuna il loro stare assieme. Ci sediamo all’osteria dietro l’angolo, mentre fuori impera la pioggia. Eravamo già amici da una vita prima di sederci al loro tavolo, una sorta di focolare domestico intorno a cui narrare vecchie leggende. O, in questo caso, la loro storia.
-    Però una cosa la dovete scrivere. Volete sapere il nostro motto? Non ridete, segnate segnate. Nuje nun simme scieme. – dice Stefano – o no Mario?
Sono cinque, intorno a quel tavolo: Stefano, Mario, Annamaria, Marco, uno di loro inquieto, un animale da palco a briglia sciolta nella stanza.
-        Ma chi recita meglio tra di voi?
-        Ace, sicuramente – rispondono unanime gli altri.
Ace nega, dice che sono tutti bravi allo stesso modo. E guardando uno qualunque dei loro video, noi crediamo a lui.
Nascono da un’associazione sociale di volontariato denominata “Gioco immagine e parole”, attiva nell’ambito ludico-sociale ormai da vent’anni nella zona compresa tra San Giovanni, Barra e Ponticelli. È proprio qui che nasce il teatro, la recitazione, l’arte del riflettore, con la compagnia amatoriale A Menesta, che si esibisce su temi importanti nel Nest, teatro nato nella palestra abbandonata di una scuola di San Giovanni a Teduccio a via B. Martirano. Civico 17 è infatti una delle creature dell’associazione, attiva su Facebook e YouTube con video sempre più geniali, che seguono il trend…ma non troppo.
-        No, noi gli spot li facciamo sempre col nostro stile. Anche se non è facile piacere al pubblico e conservare il nostro orientamento – dice Marco, che tra gli altri gestisce l’account Civico 17 su Instagram.
Ci offrono un amaro, improvvisiamo un brindisi come vecchi compagni a una taverna.
-    Siamo sempre alla ricerca di una morale nel mondo attuale, non ci piace la comicità come caricatura di se stessi – dice Ace.
Osservando il loro affiatamento, siamo stati catturati da un dubbio. Ma chi è che comanda?
-      Sono riunioni fiume le nostre, si riempie un calderone di idee che poi noi stessi restringiamo, tutti assieme, scambiandoci le competenze. Nessuno comanda, però come bacchetta Annamaria…nessuno – autoironici, compatti, senza rancori.
Stefano cita un certo processo che ci intriga, secondo cui anche con A Menesta ognuno di loro “finisce per diventare il personaggio interpretato”. È così, quindi, che ci siamo imbucati al Nest il 25 marzo, per assistere alla rappresentazione di uno dei temi d’attualità più pregnanti in questo periodo, le morti sul lavoro, interpretata appunto da A Menesta. Accolti ancora una volta come ospiti desiderati, in un clima tiepido, intimo, l’osteria ora diventa un ristorante più decoroso, una scuola completamente ridimensionata intorno alla sua nuova funzione: offrire asilo politico a talenti vibranti come i loro. Una storia semplice, lineare, ma drammatica: un padre infortunato a vita, una mamma disperata e un figlio che lavora in condizioni disumane; poi la morte e le lacrime di sua madre, ossessivamente e morbosamente protettiva. Un’impeccabile immedesimazione nei ruoli e voci che hanno scosso tutti, veicolando il disagio, l’angoscia e il senso di ribellione in scena. Al termine dello spettacolo andiamo a congratularci con gli attori e veniamo ripagati da un dono inaspettato: in una foto Stefano si stende su una barca con corpo palestrato. Palesemente un fotomontaggio, con tanto di autografo: Con simpatia. Quella simpatia che è all’origine di tutto.

Stefano Esposito  nel fotomontaggio autoironico


Duilia Giada Guarino & Ciro Piccolo

domenica 26 marzo 2017

'O Mmassimo del piacere

In macchina, l'amore di una vita, sensi unici del cazzo, salite ripidissime, Maps impallato, frizione bruciata, puzza, nervoso. 
- E mo? Mo dove ce ne andiamo?
Il parcheggio è a trecento metri, la fame vicinissima, bombarolo dei nostri stomaci. E poi Lucio Dalla, con 'l'hamburger di sera che mangerai'.
- Cornetto di notte?
- Cornetto di notte.
- Sigaretta?
- Sigaretta.
- Aspetta...l'accendino...non lo trovo. Fammi vedere...forse è qui...no, non c'è. Forse è qui, aspetta...nemmeno. 
- Dai compriamola, no?
- E sì dai.
Dal parcheggio al Tabacchi cinquecento metri di agonia. Zona desolata, popolata da macchine e pochi ragazzi sparsi qui e lì come pennellate di un pittore avaro di tempera.
Ci avviamo alla ricerca di un cornetto, o quanto meno di oggetti commestibili. E dopo neanche un secondo un cancello al lato della strada stretta si sforza ai nostri occhi di mostrare un'insegna a forma di mezza luna, bianco splendente, ma grafia sbiadita.
- Guarda, guardala. L'insegna dico...è un cornetto?
- Dici quella? Chissà...può mai essere?
- Di fronte l'ambulatorio veterinario poi...che può mai essere?
Alla fine entriamo, temerari contro la fame. Un piccolo rettangolo all'aperto con dei tavolini ci introduce al locale vero e proprio. Una dozzina di ragazzi mangiano. Tre in silenzio, molti altri, al lato opposto, goliardicamente consumano i loro acquisti gastronomici. Fattoni, chissà. 
- Un cornetto Kinder Maxi e uno Kinder Bueno.
La simpatia congenita e la stanchezza circostanziale del cassiere si identificano nel suo sorriso quando ci fa: - Scusatemi, avete detto...uno Rocher e uno Kinder Cereali? - ripetendolo a distanza di secondi due volte.
Un sorriso dolce ci mantiene in equilibrio e in sincronia. quindi ci sediamo, coi cornetti in mano. 
Ci imbocchiamo morsi di un cornetto non sfogliato ma di brioche. Gigantesco, enorme, si sposa con i nostri sorrisi salvifici. Morbido, soffice, le nostre labbra che si baciano. I picchi del nostro elettrocardiogramma si alternano tra amore e cornetto.
Buono, buonissimo, ma noi di più.
Dopo aver digerito salutiamo il cassiere e gli chiediamo quale sia il nome del locale.
- 'o Mmassimo
E sì, è stato proprio 'o mmassimo coniugare amore e delizia.


Ciro Piccolo

giovedì 16 marzo 2017

Scorci di vita: un giorno senza te

Incespico tra la voglia di incidere sul marmo di un monumento di una piazza queste parole e il desiderio di lasciarle intime, tra me e te, perché il nostro amore è questo, egocentrismo che si oppone alla pensilina del nostro, eccentricità, uscita dalle orbite.

Ti immagino nell'aura dei tuoi voli metafisici, debole, deficitaria per le circostanze. Ti immagino puntellare dei pensieri vitali e originari, baracca della sopravvivenza. Ti immagino soffocare tra le mura di un ospedale e soffoco anche io, cercando riparo nella vuotezza di atti compulsivi. Ti immagino morire stritolata dalla morsa che stringe il limen sacrum tra vita e morte in cui ti trovi. Ti immagino sopravvivere, ma lontano da me e tutto questo mi fa un male atroce. Un male che sconterò nel prossimo morso che darò a me stesso, un fiume che scarica i suoi rifiuti in un mare senza bussole.

domenica 12 marzo 2017

Marco Polani: una storia di bianchezza a tratti contaminata


Pagine scarne. Bianco dominante, perennemente. Poche parole. Spazi vuoti, giacigli di versi. E’ così Bianca Dentro, raccolta-tratteggio di un amore malsano, andato a male, si direbbe quasi marcio. Amore da cui l’autore Marco Polani esce, come ci informa anche nella premessa al libro, scolorito. “Ci si colora a vicenda per poi scolorirsi”, scrive: Bianca dunque è sì nome proprio dell’amata, ma anche comune di una persona scolorita e perciò bianca appunto.
La raccolta di Marco Polani, pubblicata da Miraggi Edizioni, è un raccoglitore di attimi e riflessioni brevi sull’amore ormai passato, finito. Tali attimi e riflessioni si mettono in fila nel corridoio interiore dell’accettazione del dramma: una strada lunga e dolorosa, di contrasti e corrispondenze, di odio e amore, di nostalgia e felicità del presente.  Una strada contorta, piena di tornanti, sempre al limite tra l’esser divorato dalla gola e il mangiare l’asfalto. V’è dunque una trama di rimando, seppur piena di attimi talvolta opposti, che va dalla negazione del dramma all’accettazione dello stesso.
La negazione iniziale non è da intendersi come rifiuto del dramma in maniera totale, bensì parziale: in Bianca Dentro nulla è portato all’estremo. Ogni elemento psicologico riesce a scontrarsi in una incoerenza costante in ogni contesto. È per questo, infatti, che l’autore quasi gioca a rimpiattino con il suo malessere, nascondendolo a sé stesso, non trovandosi mai presente a se stesso, sempre vagante altrove, ma allo stesso tempo pone l’attenzione sulla differenza tra quel passato da sogni e questo presente povero. Lo stesso vale per l’accettazione finale del dramma, disillusione, consapevolezza del presente e dei propri mezzi, voglia di andare avanti in cui sempre si inserisce, a tratti, il pizzico di rimpianto verso quell’amore perso. Si tratta di un tempo non oggettivo e mai definito in un punto lungo la sua linea; tempo della vita direbbe Bergson. E il non istituirsi in un punto ben preciso della linea temporale si riflette anche in quel rifiuto di prendere posizione nella società, vista quasi come omologante.
Ad una indefinita identificazione temporale corrisponde un’accurata selezione di orari, giorni, minuti, microcontesti temporali nel macrocontesto della raccolta. Tali microcontesti vengono espressi attraverso cifre specifiche (ad es. ai vv.1-2 in dipingimi sbiadito ora, ma ricordami troppo timido per raccontarti tutto a pag. 21 compare per due volte il numero 5). Sebbene pochi siano questi esempi, ma caratteristici, è posto un forte accento generale sul tempo, più spesso in maniera vaga, com’è vago il verso, isolato su quel giaciglio. Esso talvolta si costituisce parte di una enumerazione atta a proporre un ritmo assai incalzante, talvolta resta in solitudine, ricercatore di un senso sopraffino e impercettibile se non ai più sensibili all’espediente della brevitas.

Bianca Dentro è tutto questo. Pagine scarne. Piccoli tasselli di un mosaico. Colori uguali, quasi. Impercettibile diversità. Colori che camminano via via sfumandosi in altri colori.



Ciro Piccolo

sabato 11 marzo 2017

La vista di Pasolini





Espressione dolente, sguardo nero e illeggibile, piglio da chiaroveggente. La voce di Pier Paolo Pasolini appare profetica per molti versi, la voce di un martire che avverte precocemente il peso del supplizio di vedere troppo lontano.
“La mia è una visione apocalittica”, era lui il primo a specificarlo, dall’irraggiungibilità della propria statura di eclettico, di sperimentatore.
Nel 1964, in un articolo pubblicato sulla rivista “Rinascita”, Pasolini osa trattare, forse con una vena drammatica che noi oggi giudicheremmo eccessiva, di tecnocrazia, di espressività di massa, di un’ industrializzazione cancerogena. Osa coniare la definizione di “italiano tecnologico”.
Ma in cosa consiste la profezia, in parte effettivamente realizzatasi, che Pasolini volle lanciare come un sasso in un lago quietissimo, pericolosissimo?
L’italiano tecnologico è la conseguenza linguistica dai risultati conseguiti dall’industrializzazione nel Novecento. È la morte della letteratura, è il trionfo della tecnicizzazione. È l’istituzione effettiva, finalmente, di una lingua comune, nazionale, in Italia.
Ma com’è questa lingua che viene elevata a patrimonio collettivo? È una lingua annerita dai fumi delle industrie sorte lungo il cosiddetto asse Torino-Milano, come lo definisce Pasolini, creatura mostruosa della classe egemone prodotta dal progresso industriale del Nord. L’italiano tecnologico segna anche la vittoria della comunicazione sull’espressività, attraverso la ripetizione: solo la ripetizione trasforma l’espressività in comunicazione, e lo sguardo sdegnato, allarmato di Pasolini si sofferma anche sulla fortuna degli slogan.
Si parla di un principio omologatore, si parla dell’inciampo del giornalismo e della televisione in una pozza putrida di monotonia e unificazione stantia.
Un quadro opaco e demoralizzante che si identifica quasi completamente con la nostra situazione attuale.
In una realtà globalizzata, dozzinale, insipidita dalla commercializzazione e da una triste prosecuzione dello scientismo, che fine ha fatto l’italiano che ha reso il nostro paese celebre per il proprio sangue letterario? Che fine ha fatto quella cultura amatissima e odiatissima per la cura che riversava nel suo “orticello poetico”?
La cultura del potere che denunciava Pasolini in risposta al discorso per l’inaugurazione dell’Autostrada del Sole di Moro, un vessillo della grandezza del potere economico e industriale del Settentrione, neo-colonizzatore del trascuratissimo, affamato Mezzogiorno, è la nostra odierna cultura, che diffonde attraverso una moltitudine di canali, spesso non percepiti, il proprio principio di omologazione, di annullamento.
La tecnicizzazione del linguaggio è segno di un futuro dal sapore retrogrado, che si fa le ossa sul massacro della propria storia, dei propri avi.
La protezione del passato non deve essere percepita come bloccaggio, ma come conservazione intelligente della propria parte migliore, delle salde radici di un albero storico che può continuare a crescere splendidamente.
Nessuna soluzione intorno alla lingua deve essere considerata univoca: lo stesso Pasolini si autodefinisce in piena ricerca e poeta dilettante. Vuole scrivere poesie sulla sua esistenza ma inevitabilmente è dilaniato dalla contraddizione di parlare di sé come in un diario privato o di ergersi a testimone della propria epoca gravemente ammalata. Pasolini sacrificò l’assolutezza della propria poesia sull’altare della vita, rinunciò a una fondazione poetica della realtà per aderire ai suoi moti concreti e imprevedibili.
L’attenzione che riservò alla mutazione antropologica verificatasi nei suoi anni offre spunti di riflessione validi ancora oggi: cos’è diventato l’uomo senza letteratura? Attivatore di macchine che non si limitano ad agevolare il suo lavoro, ma finiscono per succhiare la sua linfa, la sua indispensabilità?
Il declino della letteratura è il declino dell’umanità. Pasolini lo sapeva. Il suo ingegno ribelle, innamorato della letteratura e dell’umanità in ugual modo, non esitava però ad additare i suoi concittadini come degenerati, mostruosi e criminali. Una diagnosi lucida e meticolosa è inevitabilmente il primo passo della guarigione. Ma c’è un trattamento proposto concretamente da Pasolini?
“Far degenerare le ansie dell'acquisto e delle produzione in qualcosa che è la loro purezza e la loro mancanza di funzione, è la parte del poeta.”
Sostanzialmente, nessuno è ancora giunto a una cura unica o esclusiva. Sostanzialmente, l’obiettivo è continuare a proporne di nuove e rivoluzionarie. 



Duilia Giada Guarino