Lo
psicologo De Angelis ieri mi ha raccontato degli aneddoti e avevo paura fossi
io il protagonista di quegli episodi cruenti e violenti, sebbene ripetesse ogni
volta, prima di iniziare a spiegare, che mi stava per fare un esempio. Non so neanche perché mi trovo coinvolto in questa
terapia; credo di aver lasciato qualche cosa lungo la strada, ma non so cosa.
Quei
tre uomini, comunque, ti starai chiedendo chi fossero: fanno parte del corpo
poliziesco e volevano interrogarmi. Mi hanno chiesto cosa ci fosse alla base di tutto ciò, cosa fosse
successo qualche ora prima, cosa fossi io, un
mostro o cosa? Gli ho risposto dicendo di non ricordare nulla e di non
sapere di cosa parlassero. Dopo qualche ora mi hanno portato in una sala d’attesa
di uno studio. Io mi sono seduto su uno dei due divanetti che si guardavano
negli occhi, vicini. Sembravamo proprio io e te. Loro invece sono rimasti in
piedi a circondarmi, ognuno con un occhio a me e uno alla porta in legno chiaro
alla mia sinistra con inciso il disegno del disagio.
- Salve, io sono il dottor De Angelis, psicologo laureato. Gli agenti fuori mi hanno spiegato un po’ di cose. Come si sente ora?
Cosa
dovevo dirgli? Che sembrava mi fossi appena svegliato da un sonno
profondissimo? Che sembrava fossi morto e poi risorto da appena qualche ora?
- Bene, le do un compito semplicissimo: mi scriva un racconto di poche parole in cui lei è un omicida.
7.45. La sveglia che suona, la
solitudine che mi accompagna, le lenzuola stracciate da un sonno inesistente,
la vita che prosegue sempre troppo veloce per i miei ritmi e pronta, ancora, a
ripartire. Il caffè sembra sputato dal cielo, i biscotti la calce di palazzi
fiacchi, la camicia ortica, il cappello del magazzino una corona di spine. Sono
un animale sottosviluppato, ma ho una grande dote, riuscirò a vincere tutti, ne
sono convinto. Uscirò da questa merda. Sono nato per vincere le avversità.
La macchina oggi sembra non dare
problemi. Si parte e subito piede a tavoletta in autostrada. Il capo mi aveva
avvisato di non arrivare in ritardo. L’asfalto diventa il mio cibo; ad ogni km
divento sempre più grande, sempre più un grande. Potrei guidare in F1. La mia
vita di merda cambierà.
- Dio cane, cosa cazzo stai combinando? Quel pacco non andava aperto! - mi rimprovera il capo. Chi cazzo crede di essere?
- Sei un incapace!
Il trincetto tra la mano tremante ha
prurito. Ha fame, non di asfalto. Di sangue. Te la faccio pagare, stronzo.