Romanzo epistolare

Gli amanti che si sfiorano - 1

Guardo al suo cospetto la Luna schiarirsi, come un granello di sabbia guarda il mare che prima o poi lo travolge. Mi manca il fiato e facci...

domenica 26 marzo 2017

'O Mmassimo del piacere

In macchina, l'amore di una vita, sensi unici del cazzo, salite ripidissime, Maps impallato, frizione bruciata, puzza, nervoso. 
- E mo? Mo dove ce ne andiamo?
Il parcheggio è a trecento metri, la fame vicinissima, bombarolo dei nostri stomaci. E poi Lucio Dalla, con 'l'hamburger di sera che mangerai'.
- Cornetto di notte?
- Cornetto di notte.
- Sigaretta?
- Sigaretta.
- Aspetta...l'accendino...non lo trovo. Fammi vedere...forse è qui...no, non c'è. Forse è qui, aspetta...nemmeno. 
- Dai compriamola, no?
- E sì dai.
Dal parcheggio al Tabacchi cinquecento metri di agonia. Zona desolata, popolata da macchine e pochi ragazzi sparsi qui e lì come pennellate di un pittore avaro di tempera.
Ci avviamo alla ricerca di un cornetto, o quanto meno di oggetti commestibili. E dopo neanche un secondo un cancello al lato della strada stretta si sforza ai nostri occhi di mostrare un'insegna a forma di mezza luna, bianco splendente, ma grafia sbiadita.
- Guarda, guardala. L'insegna dico...è un cornetto?
- Dici quella? Chissà...può mai essere?
- Di fronte l'ambulatorio veterinario poi...che può mai essere?
Alla fine entriamo, temerari contro la fame. Un piccolo rettangolo all'aperto con dei tavolini ci introduce al locale vero e proprio. Una dozzina di ragazzi mangiano. Tre in silenzio, molti altri, al lato opposto, goliardicamente consumano i loro acquisti gastronomici. Fattoni, chissà. 
- Un cornetto Kinder Maxi e uno Kinder Bueno.
La simpatia congenita e la stanchezza circostanziale del cassiere si identificano nel suo sorriso quando ci fa: - Scusatemi, avete detto...uno Rocher e uno Kinder Cereali? - ripetendolo a distanza di secondi due volte.
Un sorriso dolce ci mantiene in equilibrio e in sincronia. quindi ci sediamo, coi cornetti in mano. 
Ci imbocchiamo morsi di un cornetto non sfogliato ma di brioche. Gigantesco, enorme, si sposa con i nostri sorrisi salvifici. Morbido, soffice, le nostre labbra che si baciano. I picchi del nostro elettrocardiogramma si alternano tra amore e cornetto.
Buono, buonissimo, ma noi di più.
Dopo aver digerito salutiamo il cassiere e gli chiediamo quale sia il nome del locale.
- 'o Mmassimo
E sì, è stato proprio 'o mmassimo coniugare amore e delizia.


Ciro Piccolo

giovedì 16 marzo 2017

Scorci di vita: un giorno senza te

Incespico tra la voglia di incidere sul marmo di un monumento di una piazza queste parole e il desiderio di lasciarle intime, tra me e te, perché il nostro amore è questo, egocentrismo che si oppone alla pensilina del nostro, eccentricità, uscita dalle orbite.

Ti immagino nell'aura dei tuoi voli metafisici, debole, deficitaria per le circostanze. Ti immagino puntellare dei pensieri vitali e originari, baracca della sopravvivenza. Ti immagino soffocare tra le mura di un ospedale e soffoco anche io, cercando riparo nella vuotezza di atti compulsivi. Ti immagino morire stritolata dalla morsa che stringe il limen sacrum tra vita e morte in cui ti trovi. Ti immagino sopravvivere, ma lontano da me e tutto questo mi fa un male atroce. Un male che sconterò nel prossimo morso che darò a me stesso, un fiume che scarica i suoi rifiuti in un mare senza bussole.

domenica 12 marzo 2017

Marco Polani: una storia di bianchezza a tratti contaminata


Pagine scarne. Bianco dominante, perennemente. Poche parole. Spazi vuoti, giacigli di versi. E’ così Bianca Dentro, raccolta-tratteggio di un amore malsano, andato a male, si direbbe quasi marcio. Amore da cui l’autore Marco Polani esce, come ci informa anche nella premessa al libro, scolorito. “Ci si colora a vicenda per poi scolorirsi”, scrive: Bianca dunque è sì nome proprio dell’amata, ma anche comune di una persona scolorita e perciò bianca appunto.
La raccolta di Marco Polani, pubblicata da Miraggi Edizioni, è un raccoglitore di attimi e riflessioni brevi sull’amore ormai passato, finito. Tali attimi e riflessioni si mettono in fila nel corridoio interiore dell’accettazione del dramma: una strada lunga e dolorosa, di contrasti e corrispondenze, di odio e amore, di nostalgia e felicità del presente.  Una strada contorta, piena di tornanti, sempre al limite tra l’esser divorato dalla gola e il mangiare l’asfalto. V’è dunque una trama di rimando, seppur piena di attimi talvolta opposti, che va dalla negazione del dramma all’accettazione dello stesso.
La negazione iniziale non è da intendersi come rifiuto del dramma in maniera totale, bensì parziale: in Bianca Dentro nulla è portato all’estremo. Ogni elemento psicologico riesce a scontrarsi in una incoerenza costante in ogni contesto. È per questo, infatti, che l’autore quasi gioca a rimpiattino con il suo malessere, nascondendolo a sé stesso, non trovandosi mai presente a se stesso, sempre vagante altrove, ma allo stesso tempo pone l’attenzione sulla differenza tra quel passato da sogni e questo presente povero. Lo stesso vale per l’accettazione finale del dramma, disillusione, consapevolezza del presente e dei propri mezzi, voglia di andare avanti in cui sempre si inserisce, a tratti, il pizzico di rimpianto verso quell’amore perso. Si tratta di un tempo non oggettivo e mai definito in un punto lungo la sua linea; tempo della vita direbbe Bergson. E il non istituirsi in un punto ben preciso della linea temporale si riflette anche in quel rifiuto di prendere posizione nella società, vista quasi come omologante.
Ad una indefinita identificazione temporale corrisponde un’accurata selezione di orari, giorni, minuti, microcontesti temporali nel macrocontesto della raccolta. Tali microcontesti vengono espressi attraverso cifre specifiche (ad es. ai vv.1-2 in dipingimi sbiadito ora, ma ricordami troppo timido per raccontarti tutto a pag. 21 compare per due volte il numero 5). Sebbene pochi siano questi esempi, ma caratteristici, è posto un forte accento generale sul tempo, più spesso in maniera vaga, com’è vago il verso, isolato su quel giaciglio. Esso talvolta si costituisce parte di una enumerazione atta a proporre un ritmo assai incalzante, talvolta resta in solitudine, ricercatore di un senso sopraffino e impercettibile se non ai più sensibili all’espediente della brevitas.

Bianca Dentro è tutto questo. Pagine scarne. Piccoli tasselli di un mosaico. Colori uguali, quasi. Impercettibile diversità. Colori che camminano via via sfumandosi in altri colori.



Ciro Piccolo

sabato 11 marzo 2017

La vista di Pasolini





Espressione dolente, sguardo nero e illeggibile, piglio da chiaroveggente. La voce di Pier Paolo Pasolini appare profetica per molti versi, la voce di un martire che avverte precocemente il peso del supplizio di vedere troppo lontano.
“La mia è una visione apocalittica”, era lui il primo a specificarlo, dall’irraggiungibilità della propria statura di eclettico, di sperimentatore.
Nel 1964, in un articolo pubblicato sulla rivista “Rinascita”, Pasolini osa trattare, forse con una vena drammatica che noi oggi giudicheremmo eccessiva, di tecnocrazia, di espressività di massa, di un’ industrializzazione cancerogena. Osa coniare la definizione di “italiano tecnologico”.
Ma in cosa consiste la profezia, in parte effettivamente realizzatasi, che Pasolini volle lanciare come un sasso in un lago quietissimo, pericolosissimo?
L’italiano tecnologico è la conseguenza linguistica dai risultati conseguiti dall’industrializzazione nel Novecento. È la morte della letteratura, è il trionfo della tecnicizzazione. È l’istituzione effettiva, finalmente, di una lingua comune, nazionale, in Italia.
Ma com’è questa lingua che viene elevata a patrimonio collettivo? È una lingua annerita dai fumi delle industrie sorte lungo il cosiddetto asse Torino-Milano, come lo definisce Pasolini, creatura mostruosa della classe egemone prodotta dal progresso industriale del Nord. L’italiano tecnologico segna anche la vittoria della comunicazione sull’espressività, attraverso la ripetizione: solo la ripetizione trasforma l’espressività in comunicazione, e lo sguardo sdegnato, allarmato di Pasolini si sofferma anche sulla fortuna degli slogan.
Si parla di un principio omologatore, si parla dell’inciampo del giornalismo e della televisione in una pozza putrida di monotonia e unificazione stantia.
Un quadro opaco e demoralizzante che si identifica quasi completamente con la nostra situazione attuale.
In una realtà globalizzata, dozzinale, insipidita dalla commercializzazione e da una triste prosecuzione dello scientismo, che fine ha fatto l’italiano che ha reso il nostro paese celebre per il proprio sangue letterario? Che fine ha fatto quella cultura amatissima e odiatissima per la cura che riversava nel suo “orticello poetico”?
La cultura del potere che denunciava Pasolini in risposta al discorso per l’inaugurazione dell’Autostrada del Sole di Moro, un vessillo della grandezza del potere economico e industriale del Settentrione, neo-colonizzatore del trascuratissimo, affamato Mezzogiorno, è la nostra odierna cultura, che diffonde attraverso una moltitudine di canali, spesso non percepiti, il proprio principio di omologazione, di annullamento.
La tecnicizzazione del linguaggio è segno di un futuro dal sapore retrogrado, che si fa le ossa sul massacro della propria storia, dei propri avi.
La protezione del passato non deve essere percepita come bloccaggio, ma come conservazione intelligente della propria parte migliore, delle salde radici di un albero storico che può continuare a crescere splendidamente.
Nessuna soluzione intorno alla lingua deve essere considerata univoca: lo stesso Pasolini si autodefinisce in piena ricerca e poeta dilettante. Vuole scrivere poesie sulla sua esistenza ma inevitabilmente è dilaniato dalla contraddizione di parlare di sé come in un diario privato o di ergersi a testimone della propria epoca gravemente ammalata. Pasolini sacrificò l’assolutezza della propria poesia sull’altare della vita, rinunciò a una fondazione poetica della realtà per aderire ai suoi moti concreti e imprevedibili.
L’attenzione che riservò alla mutazione antropologica verificatasi nei suoi anni offre spunti di riflessione validi ancora oggi: cos’è diventato l’uomo senza letteratura? Attivatore di macchine che non si limitano ad agevolare il suo lavoro, ma finiscono per succhiare la sua linfa, la sua indispensabilità?
Il declino della letteratura è il declino dell’umanità. Pasolini lo sapeva. Il suo ingegno ribelle, innamorato della letteratura e dell’umanità in ugual modo, non esitava però ad additare i suoi concittadini come degenerati, mostruosi e criminali. Una diagnosi lucida e meticolosa è inevitabilmente il primo passo della guarigione. Ma c’è un trattamento proposto concretamente da Pasolini?
“Far degenerare le ansie dell'acquisto e delle produzione in qualcosa che è la loro purezza e la loro mancanza di funzione, è la parte del poeta.”
Sostanzialmente, nessuno è ancora giunto a una cura unica o esclusiva. Sostanzialmente, l’obiettivo è continuare a proporne di nuove e rivoluzionarie. 



Duilia Giada Guarino