Romanzo epistolare

Gli amanti che si sfiorano - 1

Guardo al suo cospetto la Luna schiarirsi, come un granello di sabbia guarda il mare che prima o poi lo travolge. Mi manca il fiato e facci...

sabato 11 marzo 2017

La vista di Pasolini





Espressione dolente, sguardo nero e illeggibile, piglio da chiaroveggente. La voce di Pier Paolo Pasolini appare profetica per molti versi, la voce di un martire che avverte precocemente il peso del supplizio di vedere troppo lontano.
“La mia è una visione apocalittica”, era lui il primo a specificarlo, dall’irraggiungibilità della propria statura di eclettico, di sperimentatore.
Nel 1964, in un articolo pubblicato sulla rivista “Rinascita”, Pasolini osa trattare, forse con una vena drammatica che noi oggi giudicheremmo eccessiva, di tecnocrazia, di espressività di massa, di un’ industrializzazione cancerogena. Osa coniare la definizione di “italiano tecnologico”.
Ma in cosa consiste la profezia, in parte effettivamente realizzatasi, che Pasolini volle lanciare come un sasso in un lago quietissimo, pericolosissimo?
L’italiano tecnologico è la conseguenza linguistica dai risultati conseguiti dall’industrializzazione nel Novecento. È la morte della letteratura, è il trionfo della tecnicizzazione. È l’istituzione effettiva, finalmente, di una lingua comune, nazionale, in Italia.
Ma com’è questa lingua che viene elevata a patrimonio collettivo? È una lingua annerita dai fumi delle industrie sorte lungo il cosiddetto asse Torino-Milano, come lo definisce Pasolini, creatura mostruosa della classe egemone prodotta dal progresso industriale del Nord. L’italiano tecnologico segna anche la vittoria della comunicazione sull’espressività, attraverso la ripetizione: solo la ripetizione trasforma l’espressività in comunicazione, e lo sguardo sdegnato, allarmato di Pasolini si sofferma anche sulla fortuna degli slogan.
Si parla di un principio omologatore, si parla dell’inciampo del giornalismo e della televisione in una pozza putrida di monotonia e unificazione stantia.
Un quadro opaco e demoralizzante che si identifica quasi completamente con la nostra situazione attuale.
In una realtà globalizzata, dozzinale, insipidita dalla commercializzazione e da una triste prosecuzione dello scientismo, che fine ha fatto l’italiano che ha reso il nostro paese celebre per il proprio sangue letterario? Che fine ha fatto quella cultura amatissima e odiatissima per la cura che riversava nel suo “orticello poetico”?
La cultura del potere che denunciava Pasolini in risposta al discorso per l’inaugurazione dell’Autostrada del Sole di Moro, un vessillo della grandezza del potere economico e industriale del Settentrione, neo-colonizzatore del trascuratissimo, affamato Mezzogiorno, è la nostra odierna cultura, che diffonde attraverso una moltitudine di canali, spesso non percepiti, il proprio principio di omologazione, di annullamento.
La tecnicizzazione del linguaggio è segno di un futuro dal sapore retrogrado, che si fa le ossa sul massacro della propria storia, dei propri avi.
La protezione del passato non deve essere percepita come bloccaggio, ma come conservazione intelligente della propria parte migliore, delle salde radici di un albero storico che può continuare a crescere splendidamente.
Nessuna soluzione intorno alla lingua deve essere considerata univoca: lo stesso Pasolini si autodefinisce in piena ricerca e poeta dilettante. Vuole scrivere poesie sulla sua esistenza ma inevitabilmente è dilaniato dalla contraddizione di parlare di sé come in un diario privato o di ergersi a testimone della propria epoca gravemente ammalata. Pasolini sacrificò l’assolutezza della propria poesia sull’altare della vita, rinunciò a una fondazione poetica della realtà per aderire ai suoi moti concreti e imprevedibili.
L’attenzione che riservò alla mutazione antropologica verificatasi nei suoi anni offre spunti di riflessione validi ancora oggi: cos’è diventato l’uomo senza letteratura? Attivatore di macchine che non si limitano ad agevolare il suo lavoro, ma finiscono per succhiare la sua linfa, la sua indispensabilità?
Il declino della letteratura è il declino dell’umanità. Pasolini lo sapeva. Il suo ingegno ribelle, innamorato della letteratura e dell’umanità in ugual modo, non esitava però ad additare i suoi concittadini come degenerati, mostruosi e criminali. Una diagnosi lucida e meticolosa è inevitabilmente il primo passo della guarigione. Ma c’è un trattamento proposto concretamente da Pasolini?
“Far degenerare le ansie dell'acquisto e delle produzione in qualcosa che è la loro purezza e la loro mancanza di funzione, è la parte del poeta.”
Sostanzialmente, nessuno è ancora giunto a una cura unica o esclusiva. Sostanzialmente, l’obiettivo è continuare a proporne di nuove e rivoluzionarie. 



Duilia Giada Guarino

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